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La prima cosa bella (2010)

Regia: Paolo Virzì
Sceneggiatura: Francesco Bruni, Francesco Piccoli, Paolo Virzì
Fotografia: Nicola Pecorini
Montaggio: Simone Manetti
Scenografia: Tonino Zera
Musica: Carlo Virzì
Produzione: Fabrizio Donvito, Marco Cohen, Benedetto Habib, Paolo Virzì, Carlo Virzì für Indiana Production, Medusa Film, Motorino Amaranto
Interpreti: Micaela Ramazzotti (Anna), Valerio Mastandrea (Bruno), Claudia Pandolfi (Valeria), Marco Messeri (il Nesi), Stefania Sandrelli, Aurora Frasca, Giacomo Bibbiani, Giulia Burgalassi, Francesco Rapalino, Isabella Cecchi, Sergio Albelli
Durata film: 116 Minuti

 

 

Sinossi: Livorno, anni '70. Anna Nigiotti è una giovane e bellissima mamma ignara delle attenzioni maliziose che le rivolgono gli uomini e che suscitano, invece,i sospetti rabbiosi di suo marito Mario e la vergogna del primogenito Bruno. Anni dopo, Anna è gravemente ammalata ed è giunta al capolinea della sua vivace seppur travagliata esistenza, ma la sua irresistibile e contagiosa vitalità le consente di vivere serenamente questo momento così difficile. Bruno, invece, ha ormai tagliato i ponti con la sua città, la famiglia e il passato tanto che accetta malvolentieri il richiamo di sua sorella Valeria per andare a dare l'ultimo saluto alla madre. Riluttante e senza entusiasmo, Bruno arriva a Livorno, ma l'incontro, dopo tanti anni, con quella mamma esplosiva, ancora bella e vivacissima, che a dispetto delle prognosi mediche sembra non aver nessuna intenzione di morire, costringe Bruno a rievocare le vicissitudini familiari che aveva voluto a tutti i costi dimenticare. Il ricordo delle peripezie vissute insieme alla mamma allegra e incosciente, unito a una serie di matrimoni e separazioni a sorpresa e a una scoperta scioccante, condurranno tutti i protagonisti a una inaspettata quanto necessaria riconciliazione.

Rassegna Stampa

Sullo sfondo di La prima cosa bella c'è la grande tradizione della commedia all'italiana degli anni 60, e ci accorgiamo di fronte al film di quanta creatività, quanta originalità, quanta nuova vita Paolo Virzì sappia mettere nel suo reinventare i canoni della nostra commedia. Lo splendido personaggio di Anna è al tempo stesso un vibrante omaggio agli anni '60, alla nostra migliore e più densa commedia amara di ieri, e un'assoluta invenzione narrativa destinata a restare indimenticabile. Anna, ieri giovane calamita di vita e sensualità, oggi gravemente ammalata, ma sempre la stessa. E il suo primogenito Bruno, a tal punto schiacciato dal vitalismo materno, da quella bellissima mamma che tutti mangiavano con gli occhi - ma che ha amato sempre e solo un uomo, il marito - e da quell'invincibile e innocente prendersi la vita tra umiliazioni ed avversità, da vergognarsene dolorosamente nell'infanzia e nell'adolescenza, al punto da fare di lui un uomo infelice, atterrito dalla forza dell'amore. Anna e Bruno, protagonisti, sono al tempo stesso il cuore di una narrazione riccamente corale, il cui magico culmine è in quel lungo finale in casa di Anna morente, e di certo La prima cosa bella rappresenta in pieno l'ideale di un cinema che sta dalla parte dell'uomo, delle piccole grandi storie d'ogni giorno. Paolo D'Agostini, la Repubblica

Quante cose ci sono in questo film di Paolo Virzì, così attento al femminile, così pieno di ricordi personali e cinematografici, e c'è soprattutto Stefania Sandrelli, che impersona Anna in età matura, e che riassume nel suo corpo tutto un immaginario femminile del cinema italiano, condensandolo in una luminosa, carnale, avvolgente figura di madre. Anna è la grande madre da cui non ci si riesce mai a liberarsi, troppo bella, troppo solare, troppo provinciale. Proprio come la città di Livorno, l'altra "madre" del film, dove gran parte della storia si svolge. Bruno cerca di lasciarsi entrambe alle spalle, fuggendo a Milano, prima di riuscire, con la maturità, anni dopo, a riconciliarsi tutte e due. La prima cosa bella, di Nicola Di Bari, che Anna canta con i suoi bambini, è la canzone simbolo di questa pacificazione e del riconoscimento, da adulti, di tutto ciò che abbiamo odiato e cercato di allontanare e che invece è parte della nostra identità. Con una sincerità disarmante Paolo Virzì mette in scena tutto questo, lavorando su spunti in parte autobiografici, su acute osservazioni antropologiche, su tutto un patrimonio di amori ai quali rendere omaggio, dalla commedia all'italiana agli anni '70, alla città di Livorno. Barbara Corsi, VivilCinema